Come comportarsi se i/le bambini/e dicono le bugie
Che cosa accade quando ci rendiamo conto che i/le nostri/e figli/e dicono una bugia? Come ci sentiamo quando succede?
Forse vorremmo che quello appena registrato dal nostro cervello fosse l’unico episodio isolato perché, di fatto, nel nostro retaggio culturale, la bugia è segno di inganno, menzogna, negazione, cattiva intenzione e condotta.
Nessun genitore vorrebbe mai che il proprio figlio o la propria figlia venisse identificato/a nel gesto di mentire.
È importante però fare un passo indietro e concedersi il tempo di analizzare più a fondo questo gesto. La neuropedagogia di oggi ci insegna che nella fascia d’età 0-6 anni è quasi impossibile che l’essere umano abbia intenzioni negative verso l’altro; il cervello del/la bambino/a in questa fascia d’età non ha una chiara distinzione di causa ed effetto, né del concetto temporale di passato, presente e futuro; così come non è assolutamente delineato il confine tra realtà e fantasia.
Frasi o commenti come:
“Mamma, mamma!! Lo sai che ieri sono andato su un aereo?”
Oppure
“Papà, papà a me le caramelle non piacciono” (quando magari ne ha appena mangiata una) rappresentano semplicemente la condivisione di un pensiero che è passato per la mente che, priva del filtro della realtà, trasporta le proprie immagini sul piano comunicativo.
In questi casi non è necessario negare di continuo ciò che viene raccontato. Anche se si tratta di congetture del tutto astratte e irrealizzabili. È chiaro che non dobbiamo confermare, ma nemmeno negare: diamo valore al pensiero e al ragionamento che sta alla base.
“Davvero sei stato su un aereo? Non lo sapevo! E com’era fatto? C’erano altre persone con te?” “Ah sì? Non ti piacciono le caramelle? Io pensavo di sì! Ho visto che ne hai appena mangiata una di gusto”.
In questo modo permetteremo al bambino o bambina di sentirsi apprezzato/a supportando ciò che per lui o lei, in quel momento, è davvero importante. Continuare a sottolineare “l’errore” o l’impossibilità dell’esistenza di quanto raccontato, potrebbe creare frustrazione o una netta diminuzione dell’autostima.
Il cervello infantile, ampliando nel corso del tempo le proprie competenze, giungerà da solo a formulare nuove ipotesi e a distinguere la realtà dalla fantasia.
Ma perché un bambino o una bambina racconta una bugia?
Ci sono varie motivazioni: in alcuni casi, la falsità potrebbe essere narrata per ottenere con più facilità dei vantaggi. Anche qui, poniamo attenzione sul fatto che il/la bambino/a cerca un vantaggio per sé, senza tenere conto dello “svantaggio” subito dall’altro. L’intenzione è positiva per sé e questo avviene perché nei primi anni di vita il cervello vive in modo egocentrico, cioè focalizzandosi sul proprio agire, senza riuscire a contemplare anche l'azione dell’altro/a. Ma le bugie nascono anche per il bisogno di compiacere gli altri, assicurandosi la loro approvazione. L’essere umano è per natura animale sociale che ricerca il proprio benessere nella relazione; il/la bambino/a non è da meno e ha un forte bisogno di sentirsi “al sicuro”, capito e ben visto dall’adulto. Procurarsi la stima delle persone per lui o lei importanti significa percepire amore, approvazione e affetto.
L’aspettativa che l’adulto ha sul bambino o sulla bambina è un elemento molto impattante nella scelta del/la bambino/a di dire una bugia. Se l’adulto si aspetta che il/la fanciullo/a sia “bravo/a ed educato/a” non accettando un possibile errore, per timore di deluderlo o farlo rimanere male, il/la bambino/a eviterà di raccontare il vero.
Questo accade sia per “difesa” personale, magari proprio per evitare un’eventuale punizione, sia nei casi in cui si desidera proteggere qualcun altro, proprio per evitargli/le possibili conseguenze spiacevoli.
A questo proposito oltre a citare le bugie che vengono raccontate quando i/le bambini/e non vogliono che un loro pari venga ripreso per qualcosa che ha fatto, è importante dare voce anche a quelle frasi di circostanza che vengono dette per paura che l’adulto si offenda:
“Filippo, ti piace la minestra che ti ho preparato?”
“Sì nonna”.
E magari non è vero, ma se il bambino o la bambina ha in mente che, in situazioni simili, la nonna ci rimane male e potrebbe dire frasi tipo “mi offendi se dici che non ti piace”, evita di esporsi e finge.
In definitiva i/le bambini/e dicono bugie per svariati motivi, ma quello che è praticamente certo è che non riguardano la sfera del “torto”.
La falsità non viene narrata per ferire l’altro quanto piuttosto per raccontare una realtà alternativa e sperimentarne le conseguenze.
Un cervello in evoluzione così veloce come quello dei/delle bambini/e ha bisogno di provare e riprovare le situazioni per capirne i risvolti e strutturare la propria idea di “giusto” e “sbagliato”.
Un altro aspetto importantissimo legato alla bugia in età infantile riguarda le false verità raccontate ai/alle più piccoli/e dagli adulti; quelle famose bugie dette per “evitare di farlo/a stare male” o perché “è piccolo/a, non può capire”. Ricordiamo sempre che i/le bambini/e amano la verità, amano conoscere le cose per ciò che sono e in ogni caso esistono parole adeguate, adatte alla loro età, che permettono loro di accedere alla realtà.
Questo significa che dobbiamo raccontare tutto senza filtri?
No. I/Le bambini/e hanno bisogno di noi adulti come guide, in grado di rendere accessibile il sapere, ma noi adulti dobbiamo sempre tenere in considerazione l’età di chi abbiamo di fronte. Ci sono tanti argomenti come la morte, il concepimento, il divorzio che vengono considerati dei “tabù” perché, è comune credenza, che il/la bambino/a non possa realmente avere un’idea rispetto a questi ambiti.
Il senso critico e l’atteggiamento con cui affrontiamo particolari argomenti, anche quelli più delicati, vengono trasmessi ai/alle piccoli/e proprio dalla nostra comunicazione: più saremo naturali e chiari nell’esporre ciò che accade, più risponderemo alle loro domande che, nella maggior parte dei casi, sono espressione di un vero e proprio bisogno di sapere.
Farsi carico delle richieste e avvicinare i/le nostri/e bambini/e alla realtà significa passare le competenze e le conoscenze che permettono di sentirsi parte attiva del mondo; a questo possiamo aggiungere il messaggio implicito di stima e fiducia nei loro confronti.
Certo non è sempre facile rimanere fedeli a questo approccio, sicuramente richiede un dispendio di energie importante: a volte accade che non sappiamo cosa rispondere o che in altri casi non abbiamo il tempo materiale per dedicarci ad approfondire insieme uno specifico argomento.
Prendere tempo può essere una buona strategia: l’adulto non è costretto a mostrarsi sempre competente e pieno di saperi; quando non siamo sicuri di qualcosa o riteniamo che quello non sia il momento più adatto per affrontarla possiamo scegliere di chiedere a nostro figlio o figlia del tempo necessario a documentarci, ad esempio così:
“Non sono certo/a di cosa risponderti, questa sera faccio una piccola ricerca e domani ne parliamo, ti va?”.
Oppure
“So che per te è molto importante avere una risposta, io voglio essere certo/a di darti quella migliore, devo però informarmi meglio, poi ne parliamo insieme!”
Raccontare la verità in alcuni casi può essere difficile e imbarazzante, ma assume un ruolo fondamentale nella relazione con i/le nostri/e figli/e perché ci permette di costruire con sempre maggior convinzione la fiducia che proveranno nei nostri confronti, al di là di tutto quello che possa accadere intorno a noi.