Il verbo “educare” può comprendere tantissime idee, ragionamenti, azioni, priorità. È vero come spesso si dice che “siamo tutti sulla stessa barca”: ogni genitore ha qualcosa in comune con altri. Questo per certi versi alleggerisce il peso della responsabilità educativa, ma allo stesso tempo ci ricorda che tutte le persone che “educano” possono fare la differenza sugli uomini e le donne di domani, perché saranno proprio loro in un futuro ad offrire il meglio di sé al mondo. Questo è sicuramente un grande onore ma anche un importante onere.
I valori che scegliamo di trasmettere, il modo in cui comunichiamo e le azioni con cui costruiamo le relazioni hanno un forte impatto sia nel presente che vivono i/le nostri/e figli/e sia nelle persone che diventeranno in futuro e nelle relazioni che costruiranno.
Quando si tratta di educare a valori per noi importanti come il rispetto verso gli altri, la gentilezza, l’ascolto (e potremmo continuare con un lunghissimo elenco) gli adulti hanno un compito fondamentale, così importante che la prima cosa da fare è fermarsi a riflettere, chiedendosi quali siano davvero i capisaldi della nostra morale, i valori su cui vorremmo costruire le nostre azioni educative.
“Che cosa è importante per me nella vita?”
“Quali sono gli aspetti su cui mi voglio impegnare per trasmette i miei valori a mio/a figlio/a?”
Porsi domande di questo tipo non è assolutamente scontato, ma può essere davvero una spinta a cambiare e migliorare gli atteggiamenti (pensieri interni) e comportamenti (azioni visibili) su cui strutturiamo le nostre azioni educative.
Non ci sono risposte giuste o sbagliate, siamo noi stessi a definire la nostra scala di valori in relazione al nostro “sentire” che non è per forza una condizione permanente, ma può cambiare nel corso della vita anche sulla base delle priorità scelte.
I valori, se vissuti come principi fondamentali per fare il nostro meglio, sapranno davvero indirizzarci verso ciò che riteniamo più giusto per la nostra vita e di riflesso per quella dei/lle nostri/e bambini/e. Maggiore è la forza con cui percepiamo e viviamo un dato valore maggiore sarà l’efficacia con cui trasmetteremo ciò che guida la nostra persona. Questo che potrebbe sembrare un discorso molto astratto e di difficile applicazione in realtà si traduce quotidianamente nel semplice “essere un buon esempio”; ed è proprio da qui che possiamo fare la differenza nell’educazione dei/lle nostri/e figli/e.
Tecnicamente viene definito “modellamento”: il bambino o la bambina apprende attraverso l’osservazione, un comportamento che verrà poi imitato e proposto come modello da seguire. È molto interessante questo aspetto perché la vita ci propone tantissime occasioni in cui poter mostrare ciò che vorremmo vedere negli altri (anche di fronte ai nostri figli): quando ci arrabbiamo, quando dobbiamo gestire una situazione più o meno difficile, quando siamo preoccupati, ma anche quando proviamo moltissima gioia o euforia abbiamo la possibilità di trasformare quel momento in un’efficace occasione di crescita condivisa con le persone che stiamo educando. Possiamo visualizzare e scegliere quali comportamenti attivare e di conseguenza mostrare ai/lle nostri/e figli/e i più corretti.
Parlare di rispetto e di come trasmetterlo ai/lle più piccoli/e può permetterci di acquisire due tipi di competenze relazionali: l’ascolto dell’altro, il non dare per scontato di sapere quello che altri provano o pensano e l’empatia, il mettersi quindi nei panni di un altro e guardare alle cose da un punto di vista diverso dal proprio.
Ma il rispetto non si evince unicamente nella relazione sociale, pensiamo al rispetto di sé, del proprio corpo o della propria persona più in generale: ci accorgeremo che ne conseguono altri valori importanti come l’autostima, la perseveranza e l’umiltà.
Abbiamo identificato un valore importantissimo e fondamentale per costruire relazioni sane, durature e di benessere condiviso; a questo punto può essere importante chiederci quanto, all’interno della nostra famiglia, nel rapporto che costruiamo ogni giorno con le persone che vivono con noi, tutti questi concetti siano tradotti in azioni ed espressi in parole.
Un presupposto importante del rispetto è certamente l’ascolto e la conoscenza dell’altro come essere umano. Tra adulti è più facile perché si dà per scontato di potersi capire ed esprimere senza troppe difficoltà; con i/le bambini/e è un po’ diverso, perché di fatto la loro forma mentis è in continua evoluzione e non ancora abbastanza sviluppata da comprendere dinamiche relazionali più profonde. Rispettare un bambino o una bambina significa anche chiedersi e documentarsi sulla sua crescita e su quelli che potrebbero essere i fattori che ne facilitano l’equilibrio.
Quando “riprendo" mio figlio o mia figlia per un comportamento che ritengo poco opportuno, che tipo di azione educativa attuo?
Come mi pongo nei suoi confronti?
Con quali parole esprimo il mio punto di vista?
C’è qualcosa che faccio o dico che vorrei invece evitare?
È evidente che, laddove io adulto riesco a mantenere la calma, utilizzare un tono di voce adeguato, evitare metodi coercitivi che non trasmettono rispetto per l’altra persona (punizioni o ricatti per esempio) potrò essere un buon educatore, in linea con i miei stessi valori.
Non è sufficiente pretendere che il rispetto sia un “ingrediente” delle relazioni tra pari dei/lle nostri/e figli/e, dobbiamo farci portatori di questo valore come prospettiva “naturale” dello stare al mondo.
Un altro grande presupposto di cui è bene tener conto è che nessuna azione o valore, nessun intervento educativo, richiamo o complimento etichetti la persona con termini giudicanti. Qualsiasi cosa facciamo, qualsiasi parola diciamo non siamo identificabili con quell’aggettivo. “Che bravo!”, “che maleducata!”, “sei uno sciocco!”, “andiamocene via perché sei insopportabile”: piccole o grandi forme di mancanza di rispetto che colpiscono l’identità e col tempo portano la persona a rispecchiarsi in quelle stesse parole. Un bambino o una bambina che si sente giudicare più volte inizierà a pensare d’essere davvero così, sentendosi ripetutamente sbagliato/a e smettendo di costruire un’immagine positiva di sé.
Giudichiamo il comportamento, il gesto, l’azione: quelli sono sempre modificabili e in qualche modo è sempre possibile rimediare. L’intenzione di un/a bambino/a non è mai fondata sulla cattiveria e sulla volontà di ferire: spesso non c’è comprensione della situazione e allora l’adulto deve farsi interprete di quanto sta accadendo, impegnandosi a fornire una visione più completa che comprenda anche ciò che potrebbe provare l’altro.
Più che una “sgridata”, che spesso si traduce in un’umiliazione pubblica, di fronte all’errore cerchiamo quella che potrebbe essere una soluzione o un rimedio all’offesa data. Possono aiutarci frasi come:
“Forse con questo comportamento potresti aver mancato di rispetto non ti pare?”
“Ti sei accorto/a che il/la tuo/a amico/a si è offeso/a?”
“Cosa puoi fare per rimediare?”
Se all’interno della mia famiglia vivo costantemente situazioni in cui vengo privato/a di rispetto sarà molto complicato per me capire come portare questo valore all’interno delle relazioni sociali, a scuola, nello sport, con gli/le amici/che.
L’essere umano può essere rispettoso anche nei primissimi anni di vita; pur non conoscendo il significato concreto di questa parola, attraverso la salda e costante guida di un adulto che accompagna e indirizza gli istinti dei/lle più piccoli/e è possibile acquisire un comportamento rispettoso come il più naturale “agire umano”, semplicemente perché è quello mostrato più e più volte dal genitore.
Prima ancora di lunghi discorsi e grandi insegnamenti a parole fanno la differenza le nostre stesse azioni, il nostro modo di interagire con chi educhiamo e le modalità con cui comunichiamo ciò che per noi è davvero importante. Nella nostra responsabilità educativa è racchiuso un grande segreto per poter cambiare il mondo: l’esempio. Una piccola grande goccia di bellezza che può fare sempre la differenza anche nell’oceano più grande.