Cosa sono, come gestirli e perché smettere di chiamarli così
La parola “capriccio” è comunemente associata al mondo infantile. Pochissimi/e bambini/e, nel corso della loro infanzia, sfuggono a frasi come:
“Smettila di fare i capricci”,
“Che bambino/a capriccioso/a che sei!!”,
“I capricci li fanno i/le bambini/e piccoli/e e tu ormai sei grande!”.
È ormai assodato un luogo comune da cui con fatica si prendono le distanze.
Ma se dovessimo pensarci con calma e dare una definizione a questo termine, cosa potremmo dire?
Il problema grosso che si genera intorno al significato del capriccio è che in questi momenti si delega al/la bambino/a la totale responsabilità dell’esistenza.
Il capriccio viene visto dall’adulto come un pianto, una protesta, una polemica infondata e senza senso d’esistere legata al bisogno del/la piccolo/a di mettere in difficoltà il genitore.
Ma è davvero sostenibile l’idea che un/a bambino/a possa attivare dei comportamenti con lo scopo di infastidire l’adulto che è vicino a lui o lei?
Per rispondere a questa domanda è bene fermarsi e analizzare la questione a fondo. La prima cosa da dire è che il capriccio così inteso non esiste.
Non è plausibile, i/le bambini/e non vivono un conflitto con gli adulti che hanno intorno: quando un/a bambino/a piange, si dimena, urla o si oppone a quanto richiesto in realtà sta chiedendo aiuto, sta cercando disperatamente una via d’uscita da un malessere interiore che non sa gestire.
“Capriccio” è quindi un termine improprio che semplicemente racchiude in sé tutta l’accezione negativa del momento, senza tener presente la difficoltà reale e oggettiva che un bambino ha di fronte alla propria emotività.
Nessuno nasce con un bagaglio di nozioni e competenze specialmente quando si tratta di emozioni; saperle decifrare, nominare e processare è qualcosa con cui ci confronteremo per tutta la vita.
Quello che per un adulto può essere banale come l’accettare che dopo un gelato non se ne mangi un secondo, per il/la bambino/a potrebbe innescare una reazione incontrollata alla rabbia perché in quell’istante il focus e le energie sono tutte concentrate su quel tanto desiderato gelato.
In una situazione del genere il/la bambino/a può davvero far tesoro e scoprire cosa fare per superare la frustrazione, ma il presupposto fondamentale è che l’adulto diventi una guida, un faro nell’oscurità della fatica emotiva.
Questo passaggio è fondamentale, è una sorta di ribaltamento della prospettiva: il “capriccio” non mi permette di vedere oltre il mero comportamento, ma se imparo a definire quel momento come “crisi emotiva” mi accorgerò di quanto potenziale racchiuda.
Ma come agire nel concreto?
L’adulto “guida” agisce in anticipo prevenendo eventuali crisi emotive e, laddove non bastasse, si prende cura di questi momenti senza giudicare.
10 azioni concrete che potrebbero evitare l’insorgere di una crisi:
1) Quando ci rivolgiamo a un/a bambino/a comunichiamo con il corpo prima che con le parole: abbassiamoci alla sua altezza, guardiamolo/a negli occhi, manteniamo un tono di voce basso. Esprimiamo i nostri sentimenti riconoscendo anche i suoi.
“Mi dispiace molto vederti così, mi sento triste, immagino che anche per te sia faticoso”
2) Quando un/a bambino/a è alterato/a da una situazione evitiamo ricatti, minacce e punizioni. Queste pratiche infatti non aprono al rispetto e al dialogo e soprattutto non permettono al bambino di capire la motivazione, il senso del comportamento per cui gli chiediamo uno sforzo. Cerchiamo una mediazione, un compromesso, negoziando quello che vogliamo ottenere.
“Anche a me piacerebbe accontentarti, ma proprio non posso, abbiamo guardato la tv per un tempo sufficiente, che ne dici se leggiamo il tuo libro preferito?”
3) Quando ci rivogliamo a un/a bambino/a, mettiamo nella comunicazione tutto il rispetto che metteremmo se ci stessimo rivolgendo ad un adulto. Diamo spazio alla sua persona. Comunichiamo senza imporre ma cercando un dialogo.
“Ti ho detto di fare così e lo farai senza discutere” à“Che ne dici di fare così […] ti vengono altre idee? ”
4) Relazioniamoci con fiducia.
“Se sali lì sopra cadrai e ti farai male”à “Ti senti sicuro a salire su quel muretto?”
5) Poche regole scelte dai genitori e condivise con il/la bambino/a al momento del bisogno.
Soprattutto con i/le bambini/e più piccoli/e ha poco senso elencare le regole di casa senza una contestualizzazione con quanto sta accadendo; collegare ciò che desideriamo insegnare con la realtà del presente aiuta moltissimo nella comprensione dei valori che vogliamo trasmettere.
6) Diamo valore alle attività e al gioco del/la bambino/a.
Se possibile non interrompiamo ciò che sta facendo con domande o affermazioni superflue così da non fermare il flusso di concentrazione e i processi logici in atto. Quando necessario descriviamo ciò che osserviamo privando la nostra narrazione di eventuali giudizi.
7) Limitiamo cambiamenti improvvisi nella routine.
Per i/le bambini/e è importantissimo sapere cosa accadrà nella giornata; avere delle routine aiuta i/le più piccoli/e a sentirsi sicuri/e e sereni/e di ciò che devono fare.
8) Rispettiamo il ritmo fisiologico di pasti e riposo.
La mancanza di riposo regolare e un piccolo o grande calo di zuccheri potrebbero essere causa di nervosismo o insofferenza.
9) Ricordiamoci che per natura i/le bambini/e hanno esigenze interiori e fisiologiche legate al movimento, allo stare all’aria aperta, nella natura.
10) Se diciamo una cosa rimaniamo fermi e saldi! Questo ci permetterà di essere chiari con i/le bambini/e e con noi stessi.
E quando la crisi emotiva arriva?! Che fare?
Un importante fattore nelle crisi emotive è il cervello, la grande “macchina” che governa il pensiero e le azioni umane. È lui che detiene il potere in questi casi e proprio per questo conoscerlo un po’ di più può fare la differenza!
Il cervello è composto da due emisferi: sinistro e destro. Il primo ama l’ordine, la logica, la razionalità e l’organizzazione del pensieri; il secondo, invece, potremmo definirlo “olistico”, guarda al quadro d’insieme, all’impressione generale, preferisce la comunicazione non verbale, ci fa provare le sensazioni più viscerali, controlla le emozioni.
Nei/lle bambini/e molto piccoli/e (fino ai 3 anni circa) l’emisfero destro domina il cervello e per questa ragione non esiste equilibrio tra le due parti. In questa fascia d’età i bambini non hanno ancora acquisito del tutto le capacità logiche e comunicative atte ad esprimere emozioni e sentimenti ed è proprio per questo che hanno un forte bisogno della guida dell’adulto.
Si dice che l’equilibrio emotivo generale si ottenga quando emisfero destro e sinistro realizzano la cosiddetta ”integrazione orizzontale”, ossia quando i due emisferi del cervello funzionano in armonia l’uno con l’altro.
Di fronte ad ogni situazione di disequilibrio emotivo possiamo focalizzarci sull’importanza che può avere quel momento se vissuto come esercizio di integrazione tra i due emisferi.
Quando un/a bambino/a è sopraffatto/a da emozioni intense, comunicare con lui/lei con logica e razionalità spesso non serve se prima non abbiamo risposto al suo bisogno emozionale. Quello che possiamo fare è cercare un contatto a livello emotivo e comunicare al suo emisfero destro parlando proprio delle emozioni che lo stanno attraversando.
Niente giudizi e niente soluzioni, solo empatia.
“Capisco bene quello che provi...”
“Se fossi in te anche io mi sentirei così…”
“È normale provare tutta questa rabbia ed è importante esprimerla…”
“Sono felice che tu ti senta libero/a di sfogarti con me”
In questa fase potremmo dover contenere reazioni più fisiche come ad esempio il lanciare oggetti; anche questi comportamenti sono frutto di poca competenza emotiva, limitiamoli non solo verbalmente ma anche fisicamente: possiamo abbracciare per contenere le braccia ma anche fornire un cuscino su cui potersi sfogare.
Quando il nostro emisfero destro sarà sintonizzato con quello del/la bambino/a, cioè, quando la reazione sarà rientrata, potremo indirizzare le energie sulla spiegazione logica e razionale di quanto avvenuto. Limitiamoci a descrivere quanto abbiamo visto e lasciamo spazio alle ragioni del/la bambino/a.
Narrare quanto successo potrebbe anche far emergere alcune possibili soluzioni e, se così non fosse, porgiamo noi le giuste domande affinché il/la bambino/a possa (ri)equilibrare la situazione.
“Ti ricordi cosa è successo prima che ti arrabbiassi? Eravamo d’accordo per un solo gelato, due sono troppi. Il gelato contiene molti zuccheri e potrebbe rovinare i tuoi denti. Siamo entrati in gelateria e ... poi è successo che … secondo te, c’è qualcosa che puoi fare per rimediare? Posso suggerirti qualcosa io?”
È bellissimo poter “chiudere il cerchio” alla crisi emotiva con la ricerca della soluzione: tutti possono sbagliare, ma l’errore è sempre amico e permette di trovare alternative nuove per crescere ed evolvere.
Anche in questi casi educare significa prima di ogni cosa attivare un cambiamento interiore che illumini i piccoli, grandi passi con cui accompagniamo la crescita dei/lle nostri/e figli/e.