Che cosa sono e come gestirli
Vi sarà capitato di vedere a volte bambini/e buttarsi per terra e strillare oppure sbattere i piedi per terra o ancora piangere disperati/e perché magari volevano assolutamente mangiare un altro gelato oppure rimanere più tempo ai giardinetti o perché non volevano mettere il giubbetto. Da spettatori esterni avremmo detto che essi/e stavano proprio “facendo dei gran capricci”.
Ma che cosa sono i capricci? Esistono veramente come sfide ribelli verso i propri genitori?
Qualche volta possiamo aver sentito dei genitori dire, riferendosi ai propri figli/e: “Quel comportamento lì lo fa apposta, sa che mi dà fastidio e mi fa uscire dai gangheri e lui/lei mi provoca proprio in quel modo, sembra addirittura che mi guardi un po’ di nascosto per sfidarmi”.
In realtà quello che si nasconde dietro ad un comportamento capriccioso è ben altro.
Ovviamente si parla di bimbi/e dai due anni in su, cioè individui capaci di cominciare ad esprimere preferenze, attitudini, voglie e desideri e che per alcuni aspetti, anche ludici e comportamentali, hanno iniziato a sperimentare una certa autonomia.
Pensiamo ad una ipotetica scena, tipica, di un/a bambino/a di due anni: lui/lei sta giocando a casa di amici/amiche, è ora di andare via e quindi di salutare i/le compagni/e e le loro famiglie e lui/lei non ha la minima intenzione di indossare ad esempio il giubbetto per uscire, continua a giocare, non risponde ai vostri richiami, voi dovete andar via poiché avete un appuntamento dopo quindi c’è una certa fretta e cominciate a spazientirvi, lui/lei però come se non sentisse ragione, non vuole indossare nulla nonostante voi siate lì sopra pronti ad inserire le maniche. A quel punto lui/lei vi strappa il giubbetto dalle mani, lo lancia lontano e comincia a strillare e a piangere, nel frattempo si è fatto molto tardi e voi non potete più attendere oltre quindi prendete il/la vostro/a bimbo/a in braccio e, con una certa risolutezza, lo/la portate via urlante e piangente.
Quello che possiamo intuire è che “il capriccio” di non mettere il giubbetto in realtà non riguardava prettamente il capo di abbigliamento, ma molto probabilmente risiedeva nel fatto che lui/lei non volesse lasciare il gioco e i suoi/e compagni/e, quindi la non capacità di espressione di tutte le sensazioni percepite di tristezza e amarezza (per l’abbandono del campo da gioco) ha fatto sì che lui/lei esplodesse in un attacco di rabbia (esso stesso incontrollabile).
Da questo si può intuire che dietro ad ogni capriccio in realtà si nasconde sempre un bisogno che il/la bambino/a fa fatica ad esprimere a parole. Questa incapacità è fisiologica poiché l’abilità di comunicazione delle proprie emozioni, e la loro regolazione, è qualcosa che si acquisisce gradatamente, attraverso l’esperienza e i modelli comportamentali degli adulti di riferimento.
Cosa possono fare allora i genitori per gestire i capricci dei/lle propri/e figli/e?
- In primis è necessario pensare al capriccio come ad un messaggio in codice, cioè esso è, nello stesso tempo, un segnale ed una richiesta di aiuto: il/la bambino/a avverte una necessità che però da solo/a non riesce a gestire, percepisce un disagio al quale non sa dare parole quindi lo dimostra con un comportamento “ribelle”. Ha bisogno di un adulto che lo aiuti a districarsi nelle emozioni e nei pensieri che sente. Se l’adulto fosse concentrato solo a far smettere la scenata capricciosa invierebbe, anche se in buona fede, un messaggio di questo tipo: “Non ho capito che bisogno hai e non ti posso aiutare”.
- L’adulto ha un ruolo centrale nella gestione dei capricci proprio nella misura in cui riesce a decifrare il bisogno che è alla base del comportamento del/la bambino/a. Questo è possibile farlo solo se il genitore osserva molto bene il/la proprio/a figlio/a, se capta magari dei segnali premonitori evidenti come stanchezza, fatica nel gestire una situazione nuova o paura di determinate esperienze.
- Altro aspetto cruciale è dato dal gestire, da parte del genitore, lo scoppio di rabbia nell’immediato: prima cosa da fare è riuscire a mantenere una certa tranquillità (nonostante i tempi magari serrati, la “figuraccia” in pubblico e la fatica stessa di papà e mamma), l’obiettivo è quello di disinnescare, cioè fare in modo che il/la bambino/a già attivato e carico di suo, non si trovi di fronte un adulto altrettanto agitato, altrimenti, in questo modo, infatti, la bomba scoppierebbe di sicuro. Bisogna trovare quindi delle modalità di disinnesco efficienti: mantenere la calma, porsi in un atteggiamento di comprensione e non di giudizio, far sentire la vicinanza, sia fisica (prenderlo/a in braccio, una carezza, una coccola se i/le bimbi/e sono disposti/e) che emotiva (“mamma ha capito che forse sei tanto stanco, guarda sono qui vicino, dimmi cosa c’è”)
- Un ulteriore passaggio è dato dal prestito di parole: visto che i/le bambini/le, soprattutto quelli/e più piccoli/e non hanno ancora un linguaggio emotivo sviluppato ed idoneo è necessario che il genitore presti delle parole alle sensazioni ed emozioni avvertite dal/la proprio/a figlio/a: “Mi vuoi dire che sei tanto arrabbiato? Hai paura di questa cosa? Sei triste perché andiamo via e non puoi restare a giocare con Il tuo amico? Sei troppo stanco/a per andare a trovare gli zii?”. La capacità di tradurre in parole ciò che viene segnalato con il corpo dal bambino/a è fondamentale.
- Inutile porre tanti ragionamenti quando i/le bimbi/e sono molto attivati/e e nel pieno dello scoppio di rabbia, non riuscirebbero a sentire le parole da voi, meglio prima accogliere e porsi in ascolto di quel famoso bisogno celato dietro al capriccio che spiegare razionalmente ciò che è sbagliato, questo troverà posto in un secondo momento.
- Le regole ovviamente vanno date e debbono essere condivise da mamma e papà (anche perché i/le bimbi/e sono furbi/e, fanno presto infatti ad andare a chiedere permesso solo a chi pensano possa accordarlo!). I genitori debbono essere capaci poi di mantenere le stesse regole chiare, poche ma ben definite, in modo che i/le figli/e sappiano bene entro quale ambito muoversi.
- Voi genitori per primi parlate con un linguaggio emotivo, nella vostra famiglia potete fin da subito utilizzare termini che rientrano nella sfera delle emozioni, delle sensazioni e percezioni: “oggi sono arrabbiato perché mi è capitato questo, sono triste, sono scoraggiato, ma anche sono stanco, ho paura”. I/le bimbi/e, come si sa, hanno le antenne e apprendono per imitazione, per cui se prendono familiarità con questi termini sicuramente avranno maggiori probabilità, durante il corso del loro sviluppo, di accedere ad essi e potranno ricorrere alle parole quando sono in difficoltà piuttosto che a comportamenti complicati.
Non fatevi quindi spaventare dai capricci, considerateli come dei messaggi criptati che hanno bisogno di tutta la vostra attenzione per essere svelati.