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L'egocentrismo infantile

Come favorire il passaggio dall'Io al Noi

“Quella lì è proprio una persona egocentrica!”, quante volte abbiamo sentito questa frase?

Magari parlando con i/le nostri/e amici/amiche o conoscenti, ci rendiamo conto che egocentrico/a vuol dire stare al centro della scena e dell’attenzione. Per noi adulti sicuramente è così, ma se egocentrico/a è riferito ad un/a bambino/a allora il significato assume un valore diverso.

Jean Piaget, un noto psicologo del secolo scorso studioso dello sviluppo infantile, ha compiuto diverse osservazioni sui/lle bimbi/e e ha coniato appunto il termine “egocentrismo infantile”. Con esso si intende la loro incapacità nel considerare altri punti di vista oltre il proprio e questo investe sia l’area cognitiva che quella prettamente sociale. Non si tratta di una “scelta” nel senso che i/le bambini/e nascono tutti/e con un “modo di ragionare e di rapportarsi egocentrico”, fa parte dei primi anni di vita in maniera automatica e normale; solo con lo sviluppo cognitivo, morale e sociale il/la bambino/a acquisirà l’abilità di decentrarsi dal suo punto di vista ed accederà ad una visione più ampia del mondo che include anche l’opinione altrui. Questo ovviamente rientra nel processo di crescita, non si tratta di un tasto “on/off”, per cui l’esperienza, il ruolo degli adulti, lo sviluppo personale e le sfide evolutive diventano di notevole importanza.

Dall’ “Io” al “Noi”

Il/La neonato/a ha come unico obiettivo la sua maturazione, sia fisica che psichica: questo vuol dire che soprattutto nei primi mesi, ciò che rientra nella sua “attenzione” è il soddisfacimento dei propri bisogni: bisogni di cura, accudimento, protezione e accoglienza.

Fino a tre/quattro mesi il/la bambino/a non sa distinguere se stesso/a da ciò che lo/a circonda, anche se è molto sensibile e attivo/a nella soddisfazione delle sue necessità (piange per segnalare se ha fame, disagio, sonno e ha bisogno di cambiarsi), sa cioè che se piange dall’esterno arriverà qualcosa che lo/la placherà, ma non ha idea di che cosa sia questo esterno: lo percepisce solo con il corpo, con lo sguardo, con il profumo della persona che si occupa di lui o lei.

L’“Io” in questa fase quindi è molto forte, la necessità di garantirsi la prosecuzione dello sviluppo non può e non deve lasciare spazio ad altri obiettivi. Questo è del tutto in linea con ciò che Madre Natura ha programmato per la nostra esistenza, per cui il/la bambino/a è in una fase iniziale che viene definita da Jean Piaget come “egocentrismo assoluto”: cerco di ottenere ciò che mi serve e non posso avere spazio per altri.

A circa otto/nove mesi si inizia a percepire invece un mondo esterno in una maniera diversa, appare infatti proprio a questa età la paura dell’estraneo (per un approfondimento: "Chi va là? La paura dell'estraneo") per cui il/la bambino/a opera una prima distinzione tra chi è familiare e rientra nel suo mondo e chi invece non è considerato tale.

Ad un anno e mezzo generalmente vi è un notevole passo in avanti e complice una serie di acquisizioni e abilità, sia sociali che cognitive, tra cui l’espansione del linguaggio, vostro/a figlio/a comincerà a percepire che ci possono essere altre realtà oltre quella vissuta soggettivamente, a dimostrazione di questo infatti lui/lei sperimenterà ad esempio dei divieti da parte degli adulti, se sarà con altri/e coetanei/e percepirà che ci sono diversi modi di fare e di giocare e soprattutto sentirà fortemente cosa gli/le appartiene: “questo è mio!” sarà una frase che sentirete spesso per diversi anni ancora!

Non vuol dire che i/le bambini/e sono “egoisti”, ma semplicemente che ancora non hanno la capacità di porsi in una visione partecipativa con i bisogni e le idee degli altri.

L’inizio della scuola dell’infanzia a tre anni permette al/la bambino/a di sperimentarsi quale attore/attrice sociale in un gruppo ben definito di compagni/e: ci saranno regole, procedure da rispettare, turni di gioco e divertimento condiviso, tutto ciò permette di saggiare nuovi modi di rapportarsi con gli altri. Il passaggio dall’ “Io” al “Noi” per cui non è così rapido e scontato. Si comincia con il condividere ad esempio dei giochi, ma si deve arrivare a concepire che ci sono altri gusti, altre opinioni e necessità che possono essere differenti e questo un/a bambino/a lo inizia a provare verso i 7 anni, età che viene appunto sancita da Piaget come tappa del superamento dell’egocentrismo infantile. L’entrata ovviamente alla scuola primaria fornisce un forte stimolo in tal senso ed è questo il periodo in cui voi genitori potrete sentire spesso domande del tipo “Ma perché il/la mio/a compagno/a fa così?”, o constatare che il/la bambino/a comincia ad utilizzare vocaboli sentiti dagli/lle amichetti/e, proprio per sperimentare nuovi punti di vista.

Come favorire il superamento dell’egocentrismo infantile?

Posto il fatto che questa rappresenta una tappa normale dello sviluppo individuale possiamo utilizzare dei piccoli accorgimenti per favorire i/le nostri/e bimbi/e nel passaggio ad un “Tu” ed ad un “Noi” più agevole.

- Se possibile abituateli/e fin da piccoli a frequentare altri/e bambini/e, al parco giochi, con i/le figli/e dei vicini di casa, con i/le cuginetti/e, queste sono esperienze molto preziose e ricche di spunti, sia sociali che comportamentali.

- Come sempre l’imitazione e l’esempio sono pietre miliari per il loro sviluppo: osservare la condivisione e la compartecipazione degli adulti permette al/la bambino/a di fare altrettanto.

- Non forzate la condivisione di un gioco con troppa sollecitudine perché magari il/la bambino/a non riesce a capire il motivo o la valenza di tale gesto, proprio perché ancora immaturo/a nel farlo.

Un ultimo aspetto riguarda la comunicazione: più parole si conoscono e più pensieri si hanno, più i/le vostri/e bimbi/e sono stimolati/e a parlare, ad ascoltare le vostre parole e quelle dei libri, più impareranno agevolmente a percepire suoni diversi, parole nuove e per riflesso a sviluppare pensieri più ampi. Questo porta inevitabilmente ad ampliare il proprio mondo, prerequisito fondamentale appunto che permette di concentrarsi non solo sull’ “Io” ma anche sul “Noi”.

 

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